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Sulla violenza

Maltrattamento e abuso dei mezzi di correzione: due norme a tutela dei soggetti più deboli

I minori sul piano nazionale ed internazionale godono di riconoscimento e tutela, posto che l’intento educativo va esercitato in coerenza con una evoluzione non traumatica della personalità del minore.

Cosa prevede in nostro codice penale?

Il codice penale all’articolo 571 prevede l’Abuso di mezzi di correzione stabilendo che chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina  in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte.

La norma è volta a tutelare il benessere psico-fisico e la dignità del minore da tutti quei comportamenti che sono in grado di produrre umiliazioni. Se dal comportamento dell’abusante ne è derivato il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, scatterà la reclusione fino a sei mesi.  Mentre, se dal fatto deriva la morte della vittima, si applicherà la reclusione da tre a otto anni.

Nonostante la norma utilizzi l’espressione chiunque, il soggetto attivo del reato (ossia colui che attua la condotta) può essere soltanto chi detiene un effettivo potere legittimo di correzione o disciplina; mentre il soggetto passivo (ossia colui che subisce la condotta vietata) non potrà mai essere un figlio maggiore di età nonostante sia convivente con la famiglia di origine, trattandosi di persona non più sottoposta all’autorità del genitore.

La norma non richiede una certa abitualità della condotta essendo sufficiente ad integrare la fattispecie in esame anche un solo ed unico atto espressivo dell’abuso.

E se la violenza è frequente?

Può accadere, però, che l’uso della violenza sia sistematica e faccia parte dell’ordinario trattamento riservato al minore. Tale forma di prevaricazione rientra negli estremi del più grave delitto di Maltrattamenti contro familiari e conviventi. L’articolo 572 c.p. stabilisce che chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni
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Il delitto disegna una condotta vessatoria reiterata nel tempo, in grado di produrre nella vittima un’apprezzabile sofferenza psico-fisica o comunque in grado di pregiudicare lo sviluppo della sua personalità. Soggetto attivo può essere soltanto colui che si trova in una determinata posizione rispetto alla vittima (una persona della famiglia o convivente, o sottoposta alla sua autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte).
Il maltrattamento può consistere nelle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni, umiliazioni, atti di disprezzo e offese alla dignità della vittima, che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali.
Integrano il reato di maltrattamenti in danno dei figli minori anche le condotte di violenza fisica o psicologica nei confronti dell’altro genitore quando i discendenti si siano resi sistematici spettatori di tali condotte. In questi casi viene presa in considerazione la condotta omissiva, connotata da una volontaria trascuratezza e indifferenza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali della prole.
Considerata la natura abituale del delitto, l’illecito non viene meno qualora gli atti lesivi si alternino a spazi di normalità educativa.

Ci sono delle aggravanti?
L’articolo 572 c.p. trova ampio spazio di applicazione se integrato con le ipotesi previste dalle aggravanti di cui all’articolo:

  • 61 n. 9 l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto (maltrattamenti perpetrati da insegnanti);
  • 61 n.11 ter l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione, che delinea spazialmente l’ambito di operatività della circostanza aggravante, circoscrivendola tra le mura scolastiche;
  • 61 n. 11 quinquies l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’articolo 572, commesso il fatto in danno o di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza.

Le aggravanti aumentano la pena sino ad 1/3.

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Stalking: quando si configura il reato.

To stalk, tradotto, significa fare la posta indicando materialmente la condotta reiterata di minaccia o molestia nei confronti della vittima.

Nonostante la norma, come vedremo, indichi che il reato possa essere commesso indistintamente da chiunque, in Italia le statistiche vedono principalmente le donne come vittime del reato a seguito delle condotte perpetrate da ex-mariti, conviventi o fidanzati.

Il legislatore ha inserito esplicitamente nel nostro ordinamento questa nuova fattispecie di origine anglosassone con il Decreto Legge n. 11/2009 recante Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori (convertito dalla Legge n. 38/2009) al fine di offrire una risposta sanzionatoria a tutti quei comportamenti che in passato venivano fatti rientrare in altre fattispecie meno gravi, come la violenza e la minaccia.
Secondo l’articolo 612-bis del codice penale è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La reiterazione di cui parla la norma indica il cosiddetto atto persecutorio, ossia l’abitualità della condotta posta in essere dal soggetto agente. Lo stalking si potrà configurare sia nel caso in cui i comportamenti richiedono la presenza fisica dello stalker, sia in caso di sua assenza, pensiamo ad esempio alle telefonate continue o all’invio di messaggi frequenti. Lo stalker ha in sè la piena volontà di minacciare o molestare.
Le condotte illecite poste in essere causano nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura, determinando un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva. Inevitabilmente la paura porterà la vittima a modificare le proprie abitudini di vita.

Appurato che lo stalking è in grado di alterare lo stato psichico della vittima, per tale motivo le norme che in passato venivano utilizzate per punire le condotte illecite si sono poi rivelate insufficienti. Le condotte dello stalker incidono sulla sfera privata e familiare della vittima e la norma, oggi, è in grado di tutelare i diritti fondamentali quali la libertà psichica ed individuale della persona offesa.
Quanto al numero minimo delle condotte ritenute sufficienti ad integrare la fattispecie, secondo la giurisprudenza sono sufficienti pochi messaggi via whatsApp ed una telefonata dal tono minaccioso, purchè idonei ad alterare le abitudini di vita della vittima o comunque siano in grado di turbarla psicologicamente (Cassazione Penale Sentenza n. 61/2019).
Il reato di stalking è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, salvo che il fatto non costituisca reato più grave. I commi successivi prevedono due aggravanti:
1) la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa;
2) la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il reato è punito a querela della persona offesa nel termine di mesi sei. Tale termine inizia a decorrere dal momento in cui la persona offesa altera le proprie abitudini di vita o ricade in uno stato di ansia o di paura. Qualora il reato sia aggravato da una delle circostanze sopra indicate, sarà procedibile d’ufficio.
È importante rilevare che la Legge n. 38/2009 prevede che la vittima prima di proporre querela possa ricorrere da una procedura di ammonimento mediante la quale lo stalker viene invitato dall’autorità ad interrompere le condotte persecutorie. L’ammonimento è uno strumento a tutela delle vittime molto rapido che interviene nei casi di violazione dell’articolo 612 bis c.p.
Il Questore raccoglierà i fatti esposti alla vittima e potrà assumere tutte le necessarie informazioni del caso al fine di valutare l’accoglimento o il rigetto dell’istanza avanzata dalla vittima. Se l’istanza è fondata ammonisce oralmente il soggetto invitandolo a interrompere le condotte illecite. Se il fatto è commesso da soggetto già ammonito, la pena prevista dal 612 bis c.p. sarà aumentata.

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Che cos’è il revenge porn?

Il Revenge porn, o meglio la porno vendetta, consiste nella diffusione di materiale ritraente la vittima nei momenti di intimità e ha lo scopo di screditare la reputazione del soggetto ritratto.

Inevitabilmente ritorna alla memoria il caso di Tiziana Cantone, la giovane trentunenne napoletana che sottoposta alla gogna mediatica si è tolta la vita impiccandosi con un  foulard, dopo che i suoi video hard erano spopolati su internet. Qualcuno ha sostenuto che si trattasse di revenge porn, altri della trovata pubblicitaria di una futura porno star.

Al di là di come siano andate le cose, il web l’ha uccisa! Essere consenziente a girare un filmino hard non significa esserlo altrettanto alla divulgazione del filmato.

Tiziana dapprima ha abbandonato il suo lavoro per poi trasferirsi in un’altra Città perché l’umiliazione le impediva di uscire da casa. Il Cyber-bullismo l’ha giudicata ritenendo che la vita di questa donna equivalesse al nulla. E così, spietatamente, è stata data in pasto ai cani.

Il Revenge porn si ha come conseguenza del sexting, ossia dello scambio di immagini hot tramite le applicazioni di messaggistica istantanea, chat, mail o altro ancora. La diffusione tramite queste applicazioni è micidiale data la velocità con la quale le immagini o i video  diventano virali sui gruppi o su pagine create ad hoc.

Di recente il Parlamento ha approvato la legge n. 69/2019 nota anche come Codice Rosso. La cronaca quotidiana ha fatto sì che il codice prevedesse, tra gli altri, anche il revenge porn, consistente nella diffusione del materiale a contenuto sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate.

Il nostro codice penale, tra i delitti contro la libertà morale, oggi prevede l’articolo 612 ter  avente ad oggetto la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, dove ad essere tutelata è proprio la libertà di autodeterminazione dell’individuo.

La diffusione di video e immagini  può avvenire sia ad opera del soggetto che le ha realizzate, sia da parte di chi le ha ricevute, creando nocumento alle persone rappresentate. La diffusione del materiale inevitabilmente comporta una lesione della privacy, della dignità e quindi della reputazione della persona offesa dal reato.

Secondo la disposizione in parola, Chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Dal tenore della disposizione si evince che autore del reato può essere:

  • colui che ha il possesso dei contenuti sessualmente espliciti perché ha girato le riprese e si impegna a diffonderli, pubblicarli o li cede a terzi senza aver richiesto ed ottenuto il consenso della persona ritratta;
  • i soggetti terzi che hanno la disponibilità di video e immagini e ne diffondono la circolazione;
  • chi ha sottratto le immagini compromettenti e le diffonde;
  • chi, ricevendo o acquistando le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di danneggiarle.

Le pene previste per il reato saranno inasprite qualora dovessero ricorrere le seguenti aggravanti:

  • se la diffusione illecita è commessa dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa;
  • se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici;
  • se la diffusione avviene attraverso social network, internet o smartphone;
  • se i fatti sono stati commessi in danno di una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica, o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Autore del reato può essere Chiunque, partner, ex partner, compagni occasionali o conosciuti sul web o di persona e così via.

I motivi della diffusione possono essere i più svariati: dalla vendetta (perché l’autore ritiene di aver subito un torto), dal voler umiliare la vittima, per ricattarla oppure per vantarsi con gli amici (pratica in voga tra i minorenni).

I canali comunicativi oggi non permettono soltanto la rapidissima condivisione di immagini e video (pensiamo a Telegram – Tinder – Whatsapp) ma anche i dati personali delle vittime (anche minori) consentendone la facile reperibilità.

Tale fenomeno comporta nelle vittime pesantissime ripercussioni a livello psicologico spingendole, talvolta, a gesti estremi.

In diritto. Se avete scoperto di essere vittima di revenge porn raccogliete tutte le immagini che vi ritraggono (salvate ad esempio le pagine facebook o scattate gli screen shot delle chat) e contattate immediatamente la piattaforma sulla quale sono state pubblicate segnalandone il contenuto per poi chiederne la rimozione. Le prove saranno allegate alla querela che potrete sporgere presentandovi in Polizia o rivolgendovi all’avvocato.

Il delitto è punito a querela della persona offesa nel termine di sei mesi dalla conoscenza del fatto e la remissione di querela può avvenire solo in sede processuale davanti al giudice (ciò avviene per evitare condizionamenti o costrizioni alla remissione di querela).

Il delitto è altresì procedibile d’ufficio qualora lo stesso sia connesso ad un reato molto più grave (pensiamo alla Cantone che si tolse la vita). Questo vuol dire che qualora la vittima sia impossibilitata a sporgere querela gli inquirenti indagheranno comunque.

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Sulla violenza

Cos’è la violenza assistita?

Per violenza assistita intendiamo l’esposizione frequente dei minori a forme di violenza che si consumano all’interno del nucleo familiare, sia nei confronti delle figure di riferimento, sia nei riguardi di altri minori.

Accade con frequenza che gli adulti pensino che quando i bambini sono distratti, giocano o dormono, non vedano e non sentano quel che accade intorno a loro. Niente di più sbagliato. In realtà i bambini, anche quelli appena nati, sono sensibili e recettivi a tutti gli stimoli; sono in grado di percepire il dolore e la sofferenza facendo esperienza della violenza nel loro campo percettivo e diventando, così, spettatori di uno scenario familiare fatto di soprusi e aggressioni.

La violenza assistita inevitabilmente si ricongiunge alla violenza domestica, ossia a tutti quei comportamenti in grado di provocare un danno fisico, psicologico, economico e sessuale a tutti i componenti della relazione familiare.

Molti autori fanno rientrare l’evento nell’area del maltrattamento psicologico definendolo come una  alterazione del pattern comportamentale (modelli relazionali).

Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia ha definito la violenza assistita come …qualsiasi atto di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica compiuta su una figura di riferimento o su altre figure significative, adulte o minori; di tale violenza il bambino può fare esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti“.

Le esperienze traumatiche sono collegate all’età e alla frequenza degli eventi ai quali il minore assiste. Minore è l’età, e abituali sono gli eventi, e maggiori saranno le difficoltà che il fanciullo affronterà nello sviluppo psico-fisico. Innumerevoli sono le problematiche che possono riscontrarsi in questi giovani testimoni: ansia, depressione, inquietudine, disturbi del sonno, scarsa socialità, aggressività, l’idea di valere poco, di non essere amati, isolamento forzato, sentirsi responsabili per i litigi dei genitori.

La violenza assistita intra-famliare è un fenomeno di difficile rilevazione in quanto, in genere, non vengono riscontrati segni fisici e tangibili sul minore. Secondo Montecchi (noto neuropsichiatra infantile) il danno evolutivo che il bambino riporta a seguito dell’esposizione ad un contesto familiare violento ed abusante può concretizzarsi in:

  • normalizzazione dei comportamenti osservati;
  • interiorizzazione dei comportamenti violenti;
  • identificazione con l’aggressore o con la vittima;
  • inibizione delle proprie sane valenze aggressive;
  • difficoltà o impossibilità ad accedere a sentimenti di rabbia, risentimento, poiché provocano paura e sensi di colpa.

I minori vittime della violenza assistita possono presentare deficit cognitivi – emotivi e socio relazionali. Assistendo impotenti a tali distorte dinamiche familiari imparano che nelle relazioni affettive l’uso della violenza è legittimo e, che la manifestazione dei loro sentimenti, emozioni ed opinioni, potrebbe generare un’ulteriore violenza. Tali fattori contribuiranno nello sviluppo della personalità del bambino.

Analogo discorso vale nei casi separazione conflittuale tra i coniugi /conviventi. Infatti è  stato osservato un aumento di comportamenti violenti e controllanti dei figli adolescenti verso la loro figure di riferimento; mentre  nei bambini in età prescolare e scolare tali comportamenti sono stati classificati come espressione di attaccamento disorganizzato.

La violenza assistita produce un danno sul minore in continua evoluzione, difficile da rilevare sia sul piano psicologico che su quello giuridico. È una sorta di danno invisibile che lascia segni e tracce indelebili nella mente del bambino provocandogli lesioni fisiche e morali degne di essere oggetto di tutela penale e civile.

La casa dovrebbe essere un luogo sicuro e protetto. Purtroppo per molti bambini si trasforma in un ambiente carico di paura e di angoscia.

In diritto: Il nostro codice penale prevede il reato di violenza assistita quale circostanza aggravante del reato di maltrattamenti in famiglia. Secondo l’articolo 61 n. 11 quinquies aggrava il reato l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale e contro la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. Seguendo questa linea, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimazione del minore vittima di violenza assistita a costituirsi parte civile in un processo penale. Interessante è la lettura delle Sentenze nn. 45403/2016 e 18833/2018.

Nel primo caso la Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi su un caso di violenza sessuale perpetrato ai danni di una donna la cui figlia era stata obbligata ad assistere all’atto da parte dell’imputato. La corte ha stabilito che può essere considerata anch’ella persona offesa del reato, in quanto la configurabilità di detta circostanza aggravante determina una estensione dell’ambito della tutela penale e, come tale, pienamente legittimata a costituirsi parte civile, essendo stata danneggiata dal reato.

Con la seconda pronuncia la Cassazione riconosce le ripercussioni negative nei processi di crescita e sviluppo della vittima di violenza assistita.

Approfondimenti:

Luberti, Pedrocco, Biancardi: La violenza assistita intrafamiliare – Percorsi di aiuto per bambini che vivono in famiglie violente.

Montecchi: Gli abusi all’infanzia.

Mazzaglia: Il danno invisibile nella violenza assistita da minori tra aspetti penali, civili e psicologici.

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Sulla violenza

Perchè le donne non lasciano gli uomini violenti?

Dovevi lasciarlo prima! Te la sei cercata! Lo sapevi che era così, te lo dicevamo tutti! Ma non te ne sei mai accorta?

Queste affermazioni portano il peso del giudizio causando lo sconforto a colei che dopo anni di soprusi è riuscita, finalmente, a riprendersi la propria vita tra le mani o a colei che ancora non ha trovato il coraggio di lasciare un vecchio cammino.

Einstein affermava che nulla è assoluto e tutto è relativo. In filosofia il concetto di assoluto sta ad indicare una realtà la cui esistenza non dipende da nessun’altra. Nei rapporti d’amore tossici questo non avviene.

I detentori di verità assolute dovrebbero stare, pertanto, il più lontano possibile da coloro che hanno subito una qualche forma di violenza perché potrebbero nuocere gravemente. Forse è meglio tenere tutto nascosto anziché sentir dire loro che ho sbagliato tutto, che non so scegliere, che non ho rispetto di me stessa! In fondo non è poi così cattivo!

Le ragioni per le quali una donna non lascia un partner violento o manipolatore sono numerose e vanno dalla dipendenza affettiva, alla paura della solitudine, alla mancanza di soldi per ricominciare una nuova vita, alla paura delle reazioni del partner, al senso di fallimento, alla vergogna, alla presenza di figli minori, al non rendersi conto di essere vittime di violenza, alla paura di confidare alle proprie famiglie d’origine lo scenario che avviene tra le mura domestiche, perché lui è “uomo per bene” e nessuno le crederebbe mai. L’elenco non è esaustivo perché come in precedenza ho evidenziato: nulla è assoluto e nessuno di noi conosce l’intimo più profondo che porta una donna a non lasciare il partner violento.

Nei rapporti malsani il partner aggressivo stabilisce delle regole unilaterali e se oltre ad essere un uomo violento è anche ammaliatore la donna può non riconoscere in lui le pericolose condotte. Ecco allora che scattano il ridimensionamento e il diniego dei fatti.

Ci si è chiesto se le donne che subiscono violenza (fisica o psicologica) hanno elementi caratteriali simili. Secondo gli studiosi in materia le vittime hanno dei denominatori comuni: donne empatiche, solari, generose e forti, ma che provengono da pattern familiari disorganizzati e, sul modello comportamentale appreso, in età evolutiva si concretizza una replica di quello stesso modello. Analogo discorso vale per gli uomini. Prendiamo come esempio lo scenario in cui il padre picchiava i figli o picchiava la madre; quello schema violento può tornare a riproporsi in  loro come vittime o carnefici. Le conseguenze sono devastanti. Come sostiene Lella Paladino, presidente di D.i.Re, Rete Nazionale di Centri Antiviolenza, i minori che vivono in contesti disagiati si presentano burrascosi e iperattivi, con difficoltà di apprendimento, enuresi, disturbi del sonno, problemi di alimentazione e di socializzazione. Ad essere compromessa è la costruzione della personalità del bambino. Da una parte i piccoli tendono ad allinearsi al padre, che è il modello vincente, quello che guadagna e compra i giocattoli mentre la madre resta a casa a piangere, svalutata e umiliata. Dall’altra tendono a proteggere la mamma. In contesti disfunzionali i minori non coltiveranno la giusta autostima, non saranno in grado di gestire il conflitto, e quasi certamente svilupperanno una dipendenza emotiva.

Le donne che subiscono violenza hanno una capacità di resistenza all’abuso inimmaginabile e anche se molte di loro, spesso, hanno progettato la fuga, ormai sono intrappolate nella tela del ragno. L’ultima volta è stato peggio, in effetti oggi non mi ha fatto poi così male! Minimizzano o negano l’effetto traumatico che spesso è accompagnato da amnesia, dimenticando i torti subiti.

La famiglia di origine non possiamo sceglierla. In ambienti familiari invalidanti, dove le figure di riferimento hanno assunto atteggiamenti iperprotettivi, assenti o evitanti, vengono a radicarsi dinamiche affettive e cognitive distorte che danno vita a schemi comportamentali disfunzionali. Tali schemi diventano l’abitudine di quel contesto familiare che automaticamente li riterrà normali e normale sarà la loro riproduzione nella vita adultizzata. Questo vale per le donne ma anche per gli uomini. In tutti questi casi risulterà difficile costruire relazioni affettive sane e complete, caratterizzate dalla reciprocità, dal rispetto, dalla fiducia, dal sostegno, dall’ascolto e dalla comunicazione.

La catena che ci lega ad un rapporto affettivo nocivo può essere spezzata soltanto con la consapevolezza di vivere un amore sbagliato che altro non fa se non distruggere la nostra (già precaria) autostima. Personalmente, ritengo che un percorso di psicoterapia sia utile per coltivare l’autostima ed imparare finalmente ad apprezzarsi un pò di più. Ma non solo. Perchè la fine di una relazione tossica, se in uno stadio iniziale ci fa sentire sollevati, in un secondo momento può comportare un senso di vuoto e di smarrimento. Per questo motivo, non essendo terapeuti, potremmo non avere gli strumenti adatti per aiutarci a non cadere più in tentazione né con il vecchio partner, né con uno nuovo, con le stesse caratteristiche tossiche.

Quante volte abbiamo sentito pronunciare la seguente frase: mi capitano sempre gli stessi uomini (o donne)! L’individuazione degli schemi negativi persistenti che affondano le loro radici in un tempo lontano è il primo passo per raggiungere la consapevolezza e prepararsi così al cambiamento. Una volta che avremo compreso i motivi che ci hanno spinto a rimanere all’interno di una relazione tossica saremo liberi e pronti a compiere scelte diverse e migliori per il nostro futuro. Ricostruire se stessi è un lavoro faticoso ma che merita di essere affrontato.

Le battaglie più difficili, le vittorie più belle, i sorrisi più luminosi, arrivano il giorno in cui l’amore per te stessa ha la meglio sull’amore che ti spinge a restare con qualcuno che ha scelto di ferirti.